- 3 Ottobre 2018
- Posted by: Stefano Cavallaro
- Categoria: News studio
Con la Sentenza22382, del 13 settembre 2018 la Cassazione – confermando la legittimità del licenziamento di un delegato sindacale per insubordinazione – ha affermato e ribadito alcuni importanti principi.
In primo luogo la Suprema Corte ha affermato che la carica sindacale rivestita dal dipendente sottoposto ad azione disciplinare può essere valutata nella graduazione della sanzione da applicare, alla stregua di un’aggravante, per il particolare «disvalore ambientale» che ingenera. Proprio il ruolo sindacale rivestito dal lavoratore, infatti, potrebbe fare in modo che il comportamento illecito contestato assurga a modello diseducativo per gli altri lavoratori dell’impresa, i quali si potrebbero sentire a loro volta disincentivati dall’osservanza dei doveri inerenti la prestazione lavorativa.
La Corte ha altresì ribadito un che – con riferimento alla disubbidienza agli ordini ed alle direttive impartite dal datore di lavoro – “il lavoratore può chiedere giudizialmente l’accertamento della legittimità di un provvedimento datoriale che ritenga illegittimo, ma non è autorizzato a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d’urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 cod. civ., e può legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento, ex art. 1460 cod. civ., solo nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia totale”.
Peraltro il concetto di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitato al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma deve intendersi esteso a qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento delle disposizioni datoriali nel quadro della organizzazione aziendale.